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70. À bout de souffle

11 marzo 2015

Correvo.

Correvo fortissimo, schivando le buche e la ghiaia sparsa a bordo strada e tenendo gli occhi fissi sulla striscia bianca che separa la carreggiata dal fosso e pensando solo a pedalare, mentre le auto mi sfilavano vicino.

Correvo senza musica nelle orecchie, perché estrarre il lettore mp3 prima di salire in bici mi avrebbe fatto perdere un minuto e io un minuto da sprecare non l’avevo, se volevo almeno provare ad arrivare puntuale a una discussione di laurea provvidenzialmente fissata proprio alla fine del pomeriggio, all’orario perfetto per poterci andare nonostante ogni impedimento. A patto, chiaro, di correre un po’.

Correvo a perdifiato, schiantandomi dentro il vento contrario e pensando unicamente a filare via più veloce possibile, e in quella corsa senza paletti mi sembrava di essere nel pieno di un inseguimento, mi sembrava di dover dimostrare, con il mio delirio muscolare totalmente fine a se stesso, qualcosa a qualcuno.
Arrivata a destinazione ho capito il perché di quella sensazione, ed è stato chiaro che, anche se apparentemente stavo andando liberamente in un posto in cui volevo arrivare, in realtà mentre pedalavo stavo cercando di fuggire via dalla mia meta. Questa consapevolezza, però, è arrivata solo molto dopo, solo quando ho smesso di pedalare, ho legato la bici a un paletto e ho capito che quel che potevo dimostrare a me stessa l’avevo dimostrato, e che non importava niente se quasi nessuno, là fuori, avrebbe mai avuto nemmeno il più vago sentore di quella sfida segreta, di quello che cercavo di lasciarmi alle spalle con quella pedalata.
Tutto questo però, come dicevo, è venuto dopo. Finché correvo, esisteva solo la corsa, solo il lavoro dei muscoli e la loro determinazione a non mollare. E, così, mi sono ritrovata a pensare che l’esperienza un po’ infantile della corsa a perdifiato è in realtà dotata di una sua peculiare forma di grazia, e andrebbe coltivata e protetta con più cura di quanto si faccia normalmente, una volta diventati adulti.

Correre senza risparmio e senza buon senso, sfidando il mondo e le cose, è la ribellione più microscopica e gratuita, più incruenta e più silenziosa che si possa concepire. E anche se apparentemente questa rivolta non fa male a nessuno, il modo in cui batte il cuore sotto la gola, alla fine, dimostra chiaramente che l’ordine consueto delle cose è stato infranto, mentre i muscoli faticavano. E, a volte, già questo è sufficiente per poter sopportare tante, tante delle cose del mondo di fuori.

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